PROSCIOLTI TRE CARABINIERI SULLA BASE DELLO STESSO PRINCIPIO DI DIRITTO APPLICATO A TRE DISTINTI REATI MILITARI.

Minaccia, insubordinazione, prescindendo dal roboante titolo dei reati è stata dimostrata estraneità dei militari, sia a Roma che davanti al Tribunale militare di Napoli.

Assoluzione e sentenza di non luogo a procedere, bene per tre militari

Il Giudice per le indagini preliminari presso Il Tribunale Militare di Napoli disponeva il rinvio a giudizio dell’App. Sc. B.G. , iscritto al SIM Carabinieri, in ordine al reato di insubordinazione con minaccia e/o ingiuria previsto dall’art. 189 c.p.m.p.

Il militare, infatti, aveva inoltrato una Pec al proprio comando con la quale chiedeva lumi su una istanza inoltrata presso gli uffici competenti in ordine ad una indennità legata al servizio che, improvvisamente, non gli veniva più corrisposta. Non avendo ricevuto per mesi nessuna risposta si rivolgeva al proprio superiore, Tenente Colonnello G.C. chiedendo informazioni in merito. Tuttavia, l’ufficiale interpellato negava di aver mai ricevuto alcuna richiesta di informazioni invitando il proprio subordinato a concludere la conversazione. Quest’ultimo, nella convinzione che il proprio superiore stesse mentendo gli rivolgeva, tra l’altro, la seguente frase: “L’ha letta la lettera del mio avvocato? Ma pure questo nega? Eh? Lei deve essere onesto capito? Altrimenti cosa fa? Lei ha fatto un abuso si deve vergognare e non finisce qua!!!!”. Quest’ultima espressione veniva ripetuta per ben tre volte. All’esito dell’istruttoria dibattimentale la sezione Seconda del Tribunale Militare di Napoli, in accoglimento della tesi difensiva, con sentenza n. 68 del 5 dicembre 2024, assolveva il militare dall’accusa di insubordinazione con minaccia con la formula “perché il fatto non sussiste”.

La tesi sostenuta dalla difesa, era che per la configurabilità del delitto militare di insubordinazione con minaccia, oltre alla offesa al prestigio ed all’onore del proprio superiore (già, invero, tutelati dalla insubordinazione con ingiuria) occorre un quid pluris consistente nella ingiustizia del danno prospettato.

La minaccia, infatti, è notoriamente la prospettazione di un male futuro da parte del soggetto agente, potendo essere anche implicita o per fatti concludenti (es. gesti intimidatori).

Tuttavia, il danno è ingiusto quando non si ha un diritto di arrecarlo, contra ius.

Come faceva notare la difesa, dal contesto della discussione poteva evincersi che il militare imputato prospettava, seppur implicitamente, che avrebbe agito per la tutela dei propri diritti nelle opportune sedi giudiziarie per cui, prospettando l’esercizio di un proprio diritto non poteva ritenersi integrata la fattispecie della insubordinazione con minaccia.

Lo stesso principio è stato accolto dal Gup presso il Tribunale Militare di Roma con sentenza assolutoria emessa in seguito al rito abbreviato in favore di un altro militare, anch’egli iscritto al SIM Carabinieri.

In questo caso il reato contestato era quello di minaccia ex art. 229 c.p.m.p.

Accadeva che durante una adunata di militari si era accesa una discussione tra due allievi CC che si concludeva con l’estrazione di un coltello a serramanico, senza estrazione di lama, da parte di R.L. nei confronti del pari grado allievo carabiniere O.R. Quest’ultimo, reagendo a quella che considerava una minaccia riferiva all’allievo carabiniere R.L. la seguente frase: “ti faccio cacciare fuori dal corso…non sai con chi stai parlando….dopo ne parliamo in due”.

La Procura militare presso il Tribunale Militare di Roma chiedeva il rinvio a giudizio per O.R., per il reato anzidetto p.e.p. dall’art. 229 c.p.m.p.

La difesa dell’imputato, convinto della non configurabilità, prima facie, del reato contestato, dopo averlo concordato col proprio assistito, chiedeva la definizione del procedimento con rito abbreviato all’esito del quale il Gup, in accoglimento della tesi difensiva, con sentenza n. 27 del 12.6.2026, assolveva l’allievo CC O.R. dal reato contestato con la seguente motivazione:

“ Si ritiene che a tale condotta difetti la qualità dell’ingiustizia del male prospettato, in quanto la sanzione della espulsione dalla Scuola Allievi Carabinieri è del tutto proporzionata rispetto alla condotta alla quale in quel momento l’imputato stava reagendo; egli quindi non ha prospettato altro che le plausibili conseguenze giuridiche previste per la condotta appena posta in essere dal collega, ragion per cui si esclude in radice che il male prospettato possa essere ingiusto sotto tale profilo”.

Pertanto, sulla base dello stesso principio di diritto, due militari, sia il carabiniere imputato innanzi il Tribunale militare di Napoli che l’allievo CC imputato innanzi al Gup presso il Tribunale Militare di Roma sono stati assolti con formula piena.

Sempre in accoglimento della stessa tesi difensiva il Gup presso il Tribunale Militare di Roma pronunciava sentenza di non luogo a procedere nei confronti di S.M., Luogotenente dei CC, imputato del reato di “minaccia contro un inferiore aggravata” (artt.196 e 47 comma 2 c.p.m.p.) per aver pronunciato nei confronti di un proprio inferiore la seguente frase: “ Ricordati sempre, io sono il comandante, si alzi in piedi[…] ti punisco, ti faccio una sanzione disciplinare[…] lei monta di servizio senza la pistola, voglio vedere la pistola”.

Avvocato militari

Soddisfatto l’Avv. Christian Petrina del foro di Catania, difensore dei tre militari ed esperto di diritto militare: “Queste due assoluzioni nonché la sentenza di non luogo a procedere conclamano quello che è un principio di diritto indissolubile sulla necessarietà dell’ingiustizia del male prospettato per la configurabilità di una minaccia sia essa potenzialmente configurabile in ambito militare, come in questi tre casi, che innanzi l’Ag. Ordinaria (612 c.p.)”.