È morto Alexei Navalny ed è nato un martire.

È morto Alexei Navalny ed è nato un martire, ora Putin ha un vero avversario.

Siamo tutti d’accordo, Alexei Navalny ha pagato con la vita il suo coraggio. Le interpretazioni sono poche, i fatti tanti, uno su tutti il tentativo di avvelenamento che portò l’attivista russo in Europa, a Berlino, per poter essere curato.

Navalny avrebbe potuto continuare la sua battaglia per i diritti anche a distanza ma i suoi principi lo spinsero a far ritorno in Russia dove da lì a poco sarebbe stato arrestato, messo in isolamento e mandato al confino in un istituto di detenzione in Siberia, un luogo tra i più remoti e freddi del mondo.

Una vita di lotte nate grazie alla rete e a persone libere di manifestare il proprio dissenso.

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È morto Alexei Navalny

È morto Alexei Navalny è nato un martire.

“Non abbiamo ora alcuna notizia. Per questo motivo è importante che i fatti vengano stabiliti. La Russia ha domande urgenti cui rispondere. Quello che abbiamo visto è che la Russia esercita un potere sempre più autoritario, usato contro molti oppositori, da molti anni. Lui era in prigione, era un prigioniero, ed è estremamente importante che la Russia dia risposte a tutte le domande che verranno poste sulle cause di morte”.

Lo ha dichiarato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al suo arrivo alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza.

“Non farò speculazioni oggi. Continuerò a chiedere alla Russia di assicurare che tutti i fatti vengano stabiliti, che vengano fornite risposte alle domande. E poi sulla base di questo potremo dire di più “.

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Chi era Navalny

Avvocato, classe 1976, Navalny nasce a Butyn da una famiglia di origini ucraine. Il suo impegno politico inizia nel 2000, quando aderisce al partito di opposizione Yabloko, che lascerà nel 2007 per dissidi interni.

Un anno dopo lancia il suo blog dal quale sferra le prime accuse di corruzione al governo, facendo da megafono alla dissidenza interna e chiamando a raccolta i manifestanti nelle grandi proteste del 2011.

La lunga vicenda giudiziaria che lo vede protagonista appare come una diretta conseguenza della crescente ostilità del Cremlino nei suoi confronti. Così, almeno, la vede la Corte europea dei diritti dell’uomo, che nel 2018 condanna Mosca a un risarcimento di 50mila euro per danni morali e di 1.025 per danni materiali, sostenendo che i numerosi arresti subiti da Navalny fossero motivati dalla necessità di “sopprimere il pluralismo politico”.

La sentenza di Strasburgo arriva quando Navalny è già finito alla sbarra nel processo Yves Rocher, società russa che lo ha accusato di appropriazione indebita. Una vicenda che tornerà a fare capolino qualche anno più tardi.

Il 17 gennaio 2021 Navalny viene, infatti, fermato all’aeroporto Sheremetyevo di Mosca per aver violato la condizionale per quel caso. L’attivista rientrava dalla Germania, dove aveva ricevuto cure per un avvelenamento dall’agente nervino Novichok, per il quale Navalny ha chiamato direttamente in causa il Cremlino e che gli era costato 32 giorni di ricovero, 24 dei quali in terapia intensiva.

L’attivista aveva accusato un malore durante un volo dalla Siberia a Mosca. Mentre sconta 2 anni in una colonia penale di Mosca arriva la nuova condanna, stavolta a 9 anni. L’accusa è ancora di appropriazione indebita, cui se ne aggiunge un’altra di oltraggio alla corte. Tutti i tentativi di Navalny di alleggerire il regime carcerario sono falliti. A ottobre 2022 la Cassazione russa ha rigettato il suo ricorso contro la condanna, mentre a gennaio 2023 un tribunale ha respinto la sua richiesta di uno stop al regime di isolamento.

Ad aprile scorso una nuova accusa, stavolta di disordini in carcere, e poi per terrorismo, per la quale Navalny viene processato da un tribunale militare e subisce un nuovo prolungamento del periodo di isolamento in carcere di ulteriori 15 giorni.

L’oppositore ha portato avanti le sue battaglie anche attraverso la Fondazione anticorruzione, che svolge indagini su personaggi di spicco legati all’establishment putiniano e viene bollata dal Cremlino come un’organizzazione estremistica.

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