di Cristina Di Silvio
Ogni anno, nel mese di maggio, il calendario ci invita a celebrare la mamma con fiori, parole dolci e ricordi condivisi. Ma dietro l’immagine idilliaca che accompagna la Festa della Mamma si nasconde una realtà dolorosa, spesso ignorata. È il volto della maternità vissuta nella sofferenza, nella violenza, nella solitudine. È il volto delle spose bambine, delle madri con figli mutilati dalla guerra, delle vedove senza voce, delle donne che hanno dato alla luce figli nati da uno stupro…
Mamma, il dolore silenzioso delle vicissitudine della vita
Spose bambine: infanzie negate. Nel mondo, secondo l’UNICEF, ogni anno circa 12 milioni di bambine vengono costrette a sposarsi prima dei 18 anni. In paesi come il Niger, il Bangladesh o l’Afghanistan, la maternità arriva troppo presto, spesso accompagnata da complicazioni mediche, isolamento e traumi psicologici profondi. Per queste giovanissime madri, il giorno della Festa della Mamma non è altro che il ricordo di ciò che non è mai stato: un’infanzia vissuta in libertà. Una testimonianza emblematica è quella di Nojoud Ali, una ragazza yemenita che a soli 10 anni fu costretta a sposarsi con un uomo di 31 anni. Subì violenze e maltrattamenti finché, con incredibile coraggio, riuscì a fuggire e a chiedere il divorzio. La sua storia è stata raccontata nel libro “I Am Nojoud, Age 10 and Divorced”, diventato un simbolo della lotta contro i matrimoni forzati e la violenza sulle bambine.
Mamma nei teatri di guerra. A Gaza come in Ucraina, in Sudan come in Myanmar, la maternità si consuma tra le rovine. Donne che partoriscono sotto le bombe, che allattano nel rumore assordante delle sirene, che raccolgono i corpi dei propri figli distrutti dalla violenza armata. In questi contesti, la maternità diventa atto di resistenza, cura nel caos, amore che sopravvive anche alla perdita. Le vedove ucraine, ad esempio, affrontano un dolore profondo. Sofia, madre di tre figli, ha perso il marito in guerra. Nonostante il dolore, ha trovato forza nell’arteterapia e nel supporto psicologico per sé e per i suoi figli. “Il rosso rappresenta amore e tristezza, ciò che provo per mio marito”, ha detto indossando la sua Vyšyvanka rossa e nera, simbolo di lutto e resistenza.
I figli nati dalla violenza. In Congo, in Siria, nei Balcani, le guerre hanno lasciato dietro di sé un’eredità atroce: bambini nati da stupri etnici o di guerra. Le madri che li hanno messi al mondo portano il peso di una maternità imposta, segnata dal trauma e dallo stigma. Alcune riescono a trasformare quel dolore in amore, altre vivono ogni giorno una battaglia interiore tra il ricordo della violenza e l’innocenza dei loro figli.
Un giorno per vedere davvero. In un mondo che celebra con leggerezza la maternità, è urgente restituire spazio anche a queste storie. La Festa della Mamma non può e non deve essere soltanto un rituale consumistico: deve essere anche un’occasione per riflettere, per accendere una luce sulle donne che continuano a essere madri in condizioni disumane, per dare voce a chi l’ha persa o non l’ha mai avuta. In questo giorno, il gesto più autentico che possiamo compiere non è solo regalare un mazzo di fiori, ma scegliere di guardare, ascoltare e agire. Perché ogni madre, anche quella che porta cicatrici invisibili, merita rispetto. E memoria.

