*di Cristina Di SIlvio
Londra, 13 settembre 2025, oltre centomila persone hanno invaso il centro: mostrando la convergenza crescente tra movimenti identitari, populisti e reti dell’alt-right globale. Bandiere britanniche si mescolavano a simboli del suprematismo americano, slogan dal sapore trumpiano e messaggi di sostegno da figure mediatiche globali come Elon Musk.
Londra, la crisi dell’immigrazione…
La data del 13 scorso segna una svolta decisiva nel volto della protesta anti-immigrazione nel Regno Unito. La manifestazione Unite the Kingdom, guidata da Tommy Robinson – icona dell’estrema destra britannica – ha assunto dimensioni transnazionali, incarnando l’idea di un’“internazionale sovranista” che supera le ideologie tradizionali per basarsi su una narrativa potente e semplice: la nazione è sotto attacco, la coesione culturale è in pericolo, l’identità va difesa a ogni costo.
Non è stata una manifestazione isolata, ma la spia di una frattura sociale ormai radicata. Non più folklore estremista o marginalità politica: è un segnale d’allarme che riguarda istituzioni, forze dell’ordine e il tessuto stesso della coesione nazionale.

A dispetto della Brexit ormai lontana, il Regno Unito resta intrappolato in un conflitto profondo tra apertura globale e difesa identitaria. Il governo Starmer, insediatosi nel 2024 con promesse di pragmatismo e umanità nella gestione migratoria, ha cambiato rotta con il White Paper Restoring Control over the Immigration System (maggio 2025), introducendo limiti più severi su visti e professioni “qualificate”.
Queste misure, pur giustificate sul piano economico, richiamano implicitamente l’idea contenuta nel Nationality and Borders Act 2022, che aveva già segnato un inasprimento delle norme migratorie britanniche, evidenziando come il controllo del confine rimanga un nodo centrale.
Dietro la tecnica si cela una strategia chiara: recuperare il consenso nelle aree periferiche, dove l’identità nazionale si sente minacciata. Un’eco evidente della campagna “Take back control” di Boris Johnson, che aveva fatto della sovranità e della tutela dei confini la propria bandiera.
Cambiano i governi, ma il confine resta l’ossessione centrale, fisico e culturale. Il dibattito sull’immigrazione ha superato la dimensione numerica, spostandosi sul piano simbolico. Da un lato, chi difende società aperte e multiculturali; dall’altro, chi chiede protezione e omogeneità. La politica delle percezioni ha preso il sopravvento sui dati ufficiali, incapaci di controbilanciare narrazioni emotive e manipolate.
La comunicazione digitale è ora terreno di propaganda estremista: podcast, Telegram, meme e video virali alimentano risentimento e paura. L’omicidio di Southport – tre bambine uccise da un richiedente asilo con disturbi mentali – è diventato il detonatore emotivo di un’ondata d’odio, trasformando la tragedia in mito fondativo. Per la gestione della manifestazione, la Metropolitan Police ha mobilitato oltre 1.600 agenti, con rinforzi da Manchester e Leeds, adottando un sistema a “cerchi concentrici” per contenere le tensioni. Il bilancio: 25 arresti, 26 agenti feriti (4 gravi), nessun decesso.

Ma la vera minaccia è la radicalizzazione sotterranea che cresce.
Secondo il MI5 e il Centre for the Protection of National Infrastructure, il terrorismo di estrema destra è la nuova emergenza per la sicurezza nazionale, classificato come priorità nella strategia anti-terrorismo 2023 e sancito dal National Security Act 2023, che ha introdotto nuovi strumenti per contrastare minacce interne di natura ideologica.
Una radicalizzazione diffusa, alimentata da frustrazione sociale e perdita di riferimenti culturali, si diffonde attraverso un ecosistema digitale globale.
Il Prevent Strategy aggiornato punta a intercettare precocemente i segnali, soprattutto tra i giovani, ma il problema è più ampio: non è più il singolo radicalizzato il pericolo, bensì la rete invisibile che lo sostiene, fatta di ideologia, isolamento e propaganda virale. La protesta londinese si inserisce in un contesto internazionale.
Dal Great Replacement francese alle politiche di confine di Viktor Orbán, dal trumpismo americano alle leggi italiane sulla “tutela dell’identità culturale” – come la recente Legge 85/2024, che impone la promozione dei “valori nazionali” nei contesti educativi e pubblici – si costruisce una narrativa globale che identifica la nazione come un corpo da difendere e lo straniero come minaccia esistenziale.
La vera sfida è l’internazionalizzazione del linguaggio sovranista, resa possibile dalle piattaforme digitali che cancellano i confini geografici. L’odio si propaga in tempo reale, alimentato da algoritmi, sponsorizzazioni occulte e campagne di disinformazione professionale.
Per i servizi segreti occidentali non basta più fermare la violenza, ma occorre anticipare i processi che la generano. Minimizzare questi segnali sarebbe un errore strategico fatale. La sicurezza nazionale non si tutela solo con gli agenti in strada, ma con politiche migratorie credibili, strumenti di supporto alle comunità locali e un linguaggio politico capace di ricucire il tessuto sociale.
Il Regno Unito è a un bivio cruciale: rafforzare la resilienza istituzionale e culturale o soccombere sotto il peso di una frattura ormai ingestibile. Una frattura visibile, rumorosa, organizzata, che se ignorata potrebbe sfociare in violenze meno vistose ma più pervasive. Il tempo per agire è ora. Domani potrebbe essere troppo tardi.