di Cristina Di Silvio
Nel 2024 l’Italia ha perso terreno in materia di libertà d’espressione, scivolando al 46° posto nella classifica annuale stilata da Reporters Without Borders. Ma più dei numeri, a preoccupare è la tendenza strutturale che si sta affermando: l’erosione sistematica del diritto a un’informazione libera, pluralista e indipendente. Questa crisi non riguarda soltanto l’ambito nazionale: si tratta di un fenomeno globale, dove la censura assume forme sempre più sofisticate, spesso mascherate da esigenze di sicurezza, algoritmi automatici o logica geopolitica.
Italia: informazione sotto pressione
Nel nostro Paese, la recente “stretta” sulla pubblicazione degli atti giudiziari — introdotta con la cosiddetta “legge bavaglio” — rappresenta solo la punta dell’iceberg. Il rischio è che il giornalismo investigativo, già indebolito da pressioni editoriali e politiche, venga ulteriormente disincentivato, rendendo opaca l’azione della giustizia e meno responsabili le istituzioni. L’indipendenza del servizio pubblico radiotelevisivo è anch’essa minacciata: la politicizzazione crescente della Rai, accompagnata da epurazioni mirate e revisioni dei palinsesti, solleva interrogativi non solo a livello interno, ma anche a Bruxelles, dove il pluralismo mediatico è considerato un pilastro democratico fondamentale.
Narrativa dominante e censura soft: la guerra dell’informazione nella nuova geopolitica
Nel contesto internazionale, l’informazione è diventata uno strumento di proiezione del potere della geopolitica.
I conflitti non si combattono solo con armi convenzionali, ma anche con narrazioni. Il caso ucraino, nel panorama che viene offerto dalla geopolitica, è emblematico: nella maggior parte dei media occidentali, la rappresentazione del conflitto segue fedelmente la linea euro-atlantica, marginalizzando qualsiasi prospettiva alternativa. Lo stesso schema si applica ai rapporti con la Cina, al ruolo della Turchia nel Mediterraneo, alle tensioni nel Corno d’Africa, e più recentemente alla gestione mediatica della guerra a Gaza. La verità viene così segmentata, modellata su interessi strategici, e spesso sacrificata sull’altare della convenienza diplomatica o dell’allineamento politico.
Gaza: guerra asimmetrica e oscuramento digitale. Nella Striscia di Gaza, l’asimmetria militare si riflette anche nell’asimmetria dell’informazione
Oltre 14.000 bambini uccisi in un anno, secondo i dati dell’UNICEF, sono diventati quasi invisibili nei circuiti mainstream. Non è solo una questione di attenzione selettiva: si tratta di una vera e propria strategia di gestione dell’informazione. Una recente inchiesta della BBC ha rivelato che Meta — l’azienda madre di Facebook e Instagram — ha significativamente ridotto la visibilità dei contenuti pubblicati da utenti palestinesi, mentre quelli israeliani aumentavano. Apple e Google, su pressione del governo israeliano, hanno disabilitato i servizi di localizzazione GPS nella regione, rendendo più difficile per i civili evitare i bombardamenti. In questo scenario, la censura diventa un’arma digitale, usata per controllare la percezione globale del conflitto.
Afghanistan: l’afasia forzata delle donne
In Afghanistan, a due anni dal ritorno al potere dei talebani, è in atto una silenziosa ma brutale epurazione delle donne dalla vita pubblica. L’istruzione femminile è vietata oltre la scuola primaria. Le donne non possono più lavorare nella maggior parte dei settori pubblici e privati, né muoversi liberamente senza un accompagnatore maschio. Le ONG che impiegano personale femminile sono state costrette a interrompere le attività, privando milioni di persone dell’assistenza di base. Non si tratta soltanto di repressione: è una strategia di cancellazione dell’identità collettiva delle donne afghane. Ma ciò che colpisce ancor di più è l’assenza quasi totale di copertura mediatica costante, soprattutto nei circuiti occidentali. Una rimozione per omissione.

Censura, geopolitica e algoritmi: un triangolo oscuro
Stiamo assistendo alla nascita di un nuovo paradigma informativo, in cui attori pubblici e privati concorrono alla costruzione di una realtà selezionata. Le Big Tech, agendo come nuovi arbitri della visibilità, collaborano de facto con governi e organismi sovranazionali, filtrando contenuti, silenziando dissidenze, amplificando ciò che serve al mantenimento dello status quo. La censura non è più il bavaglio autoritario del passato. È una griglia invisibile fatta di algoritmi, di regole d’uso opache, di shadow banning e moderazione automatizzata. È una censura postmoderna, che non si impone frontalmente, ma svanisce contenuti dal dibattito pubblico.
Resistere al silenzio: l’informazione come diritto della geopolitica
Difendere oggi la libertà di stampa non è un atto romantico o di categoria. È una battaglia fondamentale per preservare l’equilibrio democratico globale. È la difesa dei diritti di milioni di civili — a Gaza, in Afghanistan, ma anche nei nostri paesi — a essere rappresentati, raccontati, ascoltati. È la lotta contro un mondo dove l’accesso alla verità diventa un privilegio e non un diritto. Perché ogni volta che un contenuto viene rimosso, un fatto viene distorto, o una voce viene silenziata, perdiamo non solo informazione: perdiamo coscienza, umanità, e possibilità di cambiamento.