Israele, la crisi di Gaza è sempre più legata al destino politico di Netanyahu

Sostanzialmente l’empasse incombente su Gaza è legata al destino politico di Bibi, e, a sua volta, quello di Hamas è legato a quello del leader israeliano. In soldoni, ognuno ha bisogno dell’altro, il problema è la mancanza di una strategia per il “day after”, un piano per gestire la ricostruzione di Gaza, la “gestione” territoriale del popolo palestinese.

Gaza, ancora sul rilascio dei prigionieri…

Il declino – ancora di più – dell’aura politica di Netanyahu ruota attorno al fallimento del recupero degli ostaggi del pogrom del 7 ottobre.

L’operazione militare su Gaza ha avuto questa come origine, e attorno alla “causa” si è costruita la narrativa politica di un governo di unità nazionale, che, con il passare del tempo, ha cominciato a vacillare, a scricchiolare, lasciando pezzi dietro di se, come il Ministro della Difesa, esautorato perché in aperto contrasto circa le operazioni per la liberazione degli ostaggi e sul “dopo”. A questo si aggiunse anche le pressioni del Premier di licenziare il direttore dello Shin Bet, nel solco di una più ampia crisi politica e di conflitti di attribuzione.

Il “dopo”, quindi, non viene mai considerato, almeno seriamente, un esempio è stato il potenziale piano messo sul tavolo dagli USA: una sostanziale deportazione dei palestinesi altrove, altroché due popoli e due Stati, per non parlare del disgustoso video, prodotto con AI, sulla spiaggia di Gaza diventata meta turistica appannaggio USA.

Il seguito del 7 ottobre 2023 ha dimostrato che Israele è una potentissima macchina da guerra: è arrivata all’eliminazione del vertice di Hamas, passando poi ad attacchi mirati contro i miliziani di hezbollah, quindi al decapitare i vertici di quel “partito combattente” libanese, fino a lambire un conflitto diretto tra con l’Iran, continuando con il colpire Yemen e Siria, finché Israele ha anche rioccupato le alture del Golan, dopo la caduta di Assad.

Se militarmente Israele è una vera macina (nei giorni scorsi è stata annunciato il richiamo di 60.000 riservisti, per una nuova massiccia operazione), in termini strategici è realmente pessima.

Non vi è una vision chiara sui futuri rapporti con i palestinesi.

La popolarità personale di Bibi è bassissima, sia in patria che all’estero, le manifestazioni pro-palestina, nel corso dell’ultimo anno, sono aumentate considerevolmente, al pari, quasi, dell’aggravarsi delle condizioni di vita nella striscia di Gaza, sempre meno accessibile agli aiuti umanitari, da almeno due mesi.

Ancora, se fonti vicine all’intelligence italiana, richiamate dal Messagero, riportano in circa 5000 unità, i combattenti di Hamas rimasti sul territorio, vi è da dire che, sulla base dell’alto numero di palestinesi uccisi, feriti, rimasti orfani e sfollati, nei prossimi anni il mondo occidentale dovrà sostenere l’ira furente di chi è rimasto in vita e affamato per lungo tempo.

Netanyahu: “stiamo demolendo sempre più case, non hanno un posto dove tornare. l’unico risultato ovvio sarà che i gazawi desidereranno emigrare fuori dalla striscia. Il nostro problema principale è trovare paesi recettivi.”

Nel frattempo, Hamas, è anche riuscita a ottenere, con la liberazione di alcuni ostaggi, un effetto ancora più destruento dell’immagine di Israele, considerando il caravanserraglio con “spettacolo” dato in pasto alle telecamere, realizzando una ulteriore sfida al potere di Bibi.

gaza ostaggi

…e sugli aspetti politici

gaza Israele usa

L’asse USA-Israele si è inclinato, al di la delle iniziali aspettative, la “nuova dottrina monroe” (ndr.) trasfusa “nell’America first” di Trump, non lascia spazio nemmeno allo storico alleato.

Si pensi alla “guerra dei dazi”, per esempio: nessuna esenzione a Israele (17%), i rapporti sul nucleare iraniano vanno avanti (e c’è stata anche una puntata veloce in Italia), e sicuramente la cosa non può lasciare indifferente Netanyahu.

Ancora, gli accordi tra Hamas e USA per la liberazioni degli ostaggi appannano la leadership di Bibi Netanyahu.

Parallelamente alla notizia che probabilmente il 15 maggio, in Turchia, Putin e Zelensky si incontreranno, Doha ritorna al centro dei negoziati per la liberazione degli ostaggi israeliani e il cessato il fuoco a Gaza: i protagonisti sono – direttamente – esponenti di Hamas e USA.

Yari Lapid, principale esponente dell’opposizione a Netanyahu, circa la possibilità che un soldato israeliano venga liberato, a seguito dell’intervento USA, dice: “la liberazione di Edan Alexander è una cosa gradita ed emozionante, ma non dobbiamo fermarci qui. Essa deve portare a un più ampio accordo sugli ostaggi che riporti tutti a casa. Non c’è più tempo. Le notizie di contatti diretti tra Hams e Stati Uniti rappresejtano un vergognoso fallimento diplomatico da parte del governo israeliano e del suo leader. I rapiti sono nostri e la responsabilità del loro rientro ricade sul governo israeliano.”