di Cristina Di Silvio
India e Pakistan, in mezzo a missili e vendette, è la popolazione civile a pagare il prezzo più alto. Cresce il rischio nucleare. E il mondo osserva, troppo silenzioso, il Conclave ha una rilevanza mediatica più alta.
Conflitto incombente: descalation verso vicolo cieco
Kashmir – Nove attacchi aerei, almeno 31 vittime, decine di feriti. Nella notte tra il 6 e il 7 maggio, l’India ha colpito presunti obiettivi terroristici in territorio pakistano, in risposta all’attacco del 22 aprile a Pahalgam, dove sono morti 26 turisti hindu. La rappresaglia ha scatenato un’escalation immediata. Il Pakistan rivendica l’abbattimento di cinque caccia indiani. New Delhi nega. Il rischio di una nuova guerra tra due potenze nucleari è più concreto che mai.
Ma in questa nuova fiammata di violenza, c’è chi paga senza combattere: i civili. Le persone comuni. Le famiglie in fuga. I bambini sotto shock. In un mondo già segnato da decine di conflitti, la crisi del subcontinente asiatico potrebbe diventare l’ennesima tragedia annunciata.
Una crisi umanitaria dimenticata
Il fragore dei bombardamenti rimbomba fino alle valli più remote del Kashmir. Le scuole sono chiuse. Gli ospedali, privi di risorse, lavorano in condizioni estreme. Mancano farmaci, generi di prima necessità, persino acqua potabile. E nelle zone di frontiera, dove la presenza dello Stato è debole, sono le ONG a lanciare l’allarme: “Servono corridoi umanitari subito, non tra una settimana”, dichiara un operatore della Mezzaluna Rossa.
Secondo le stime, centinaia di famiglie hanno già lasciato le loro case. Molti si rifugiano in edifici scolastici abbandonati. I bambini rappresentano la metà della popolazione sfollata. Con l’inizio dell’estate, si teme un rapido peggioramento delle condizioni sanitarie.

Il mondo in fiamme
La crisi tra India e Pakistan si inserisce in uno scenario globale allarmante. Secondo l’Uppsala Conflict Data Program, nel 2023 erano attivi 59 conflitti armati nel mondo, il numero più alto dal 1946. Di questi, almeno 9 sono guerre ad alta intensità, con oltre 1.000 morti ciascuna. L’anno scorso, più di 170.000 persone sono morte a causa di guerre. Una tendenza in crescita, che minaccia sempre più le popolazioni civili, specialmente i gruppi più vulnerabili.
Eppure, l’attenzione internazionale resta bassa. In un’epoca dominata da crisi multiple, la guerra tra India e Pakistan rischia di passare sotto traccia. Ma la minaccia è reale: se il conflitto dovesse estendersi, gli effetti sarebbero devastanti per l’intera regione e per la stabilità globale.
Solo la diplomazia può fermare le armi
Il tempo delle azioni militari deve finire. L’unica possibilità reale per un cessate il fuoco duraturo passa da un dialogo diplomatico urgente, diretto, sostenuto da attori internazionali credibili. Servono negoziatori, non generali. Serve il coraggio di trattare, non la follia della rappresaglia.
Ogni giorno che passa senza una risposta diplomatica è un giorno in cui la guerra può diventare irreversibile.
L’appello: aiuti ora, non dopo
Le Nazioni Unite, l’Unione Europea, l’Organizzazione per la Cooperazione Islamica: tutti devono agire. Non solo con dichiarazioni, ma con atti concreti. Prima di tutto, con aiuti umanitari immediati: cibo, medicinali, rifugi. E poi con pressioni politiche per il cessate il fuoco.
In mezzo a fuoco e silenzio, c’è una popolazione che attende risposte. Il futuro della regione – e forse del mondo – dipende da cosa verrà scelto oggi: la diplomazia, o la distruzione.
Nel frattempo, ai confini del Kashmir, una madre stringe il suo bambino e spera che il prossimo boato non sia sulla sua casa. In un mondo che brucia, è tempo di gettare acqua. Non benzina.