I numeri non mentono, anche se vogliono restare sordi all’umanità: 289 palestinesi sono morti di fame nella Striscia di Gaza. Tra questi, 115 bambini.
di Cristina Di Silvio
Gaza, tragedia nella tragedia
A rivelarlo è Munir al-Bursh, capo del ministero della Salute, dicastero gestito da hamas, in un rapporto raccolto da al Jazeera.
La fame, arma invisibile di un blocco soffocante, ha già inflitto una carneficina inesausta, infatti le Nazioni Unite si sono affrettate a dichiarare l’avvenuta carestia.
La situazione militare non lascia spazio a interpretazioni: l’esercito israeliano è schierato alla periferia di Gaza City, pronto ad avviare una offensiva su larga scala per la conquista totale della città.
Il primo problema da porsi è la genuinità delle fonti, logico che hamas puniti ad apparire come l’aggredito, poste le dinamiche da disinformazione e controinformazione, la realtà sul campo è comunque chiara: Gaza è oggettivamente annichilita e vi sono anche dei dossier riservati dell’IDF che non si discostano dai dati anzidetti, la mattanza dei civili è cosa nota anche a Tel Aviv, e non potrebbe non essere altrimenti.

Fonti ufficiali israeliane, intanto, confermano che decine di migliaia di riservisti saranno chiamati in servizio dal 2 settembre per un’operazione che si preannuncia massiccia, brutale e si auspicano anche definitiva.
Il bilancio delle prime ore è crudo: almeno 11 morti, sei dei quali uccisi mentre cercavano cibo. Una sintesi terribile di quello che la guerra oggi rappresenta: non più scontri tra eserciti, ma guerra sulla sopravvivenza. Gli attacchi non risparmiano neanche chi documenta la realtà: un giornalista di Palestine TV è stato ucciso in un’azione mirata, secondo quanto riferito dal corrispondente di Wafa.
Lo scrittore palestinese in esilio Raja Shehadeh ha sintetizzato con lucidità spietata questa realtà: “Ogni pietra di questa terra porta il peso del nostro silenzio e della nostra disperazione. Ma il silenzio non è una via d’uscita, è una condanna.”
L’analisi tecnica è impietosa: Gaza è assediata e progressivamente ridotta a un campo di morte programmata. La logistica militare israeliana si avvale di un dispositivo combinato di assedio economico, blocco umanitario e potenza di fuoco, creando un effetto cumulativo letale che si traduce in una mortalità crescente per fame, malattie e bombardamenti.
Le infrastrutture sanitarie, già al collasso, sono incapaci di gestire la catastrofe in corso. La prossima offensiva militare, condotta in un contesto urbano densamente popolato, comporterà inevitabilmente un aumento esponenziale delle vittime civili.
L’impiego di tattiche di guerra asimmetriche e la strategia di contenimento geografico amplificano il rischio di un genocidio de facto.
Dal punto di vista legale, la situazione rappresenta una flagrante violazione delle norme internazionali. Il diritto umanitario internazionale, in particolare le Convenzioni di Ginevra, vieta esplicitamente l’uso della fame come arma di guerra e impone la protezione dei civili e delle infrastrutture sanitarie durante i conflitti.
Il blocco di Gaza e l’interruzione sistematica dell’accesso a beni essenziali configurano un crimine contro l’umanità secondo molteplici interpretazioni giuridiche.
Nel contesto giudiziario internazionale, il Procuratore della Corte Penale Internazionale ha aperto indagini sulle presunte responsabilità israeliane per crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Lo scorso marzo, è stato emesso un mandato di arresto internazionale per Benjamin Netanyahu, accusato di orchestrare atti di aggressione indiscriminata e di violazioni sistematiche delle leggi di guerra.
Questo passo segnala la crescente pressione sulla leadership israeliana, che però prosegue nell’escalation militare senza mostrare segni di tregua.
Dal punto di vista geopolitico, l’operazione militare israeliana ha il potenziale di destabilizzare ulteriormente l’intera regione, innescando tensioni internazionali e reazioni politiche imprevedibili.
L’isolamento di Gaza e la devastazione sistematica rischiano di alimentare un ciclo di radicalizzazione e vendetta che nessuna strategia di sicurezza può ignorare o controllare.
Di fronte a questa escalation, il mondo ha una sola scelta: agire o essere complice.
Non è più possibile permettere che la “sicurezza” diventi sinonimo di genocidio lento e sistematico. La fame ha già ucciso 289 palestinesi.
L’offensiva militare si prepara a ucciderne molti di più. E questa è la tragedia di un fallimento globale.