Soglia di Rottura: L’Iran, Israele e l’Occidente sull’orlo dell’escalation strategica

di Cristina Di Silvio

Escalation? Il Medio Oriente ha superato la fase dell’instabilità cronica: oggi è un teatro operativo fuori controllo. A dodici mesi dall’innesco dell’ultima crisi tra Israele e Iran, lo scenario ha assunto una configurazione sistemica. Gli attacchi non sono più atti di ritorsione, ma elementi integrati di una campagna multidominio.

M.O.: il punto, aspettando gli USA, sarà escalation?

Teheran ha colpito il nord di Israele con UAV Shahed-191 armati con testate subsoniche di precisione, riconfigurati per saturare e superare l’Iron Dome.

In risposta, Tel Aviv ha condotto strike su infrastrutture critiche a Isfahan e attivato una cyber offensive capace di paralizzare temporaneamente la rete elettrica della provincia di Qom. Nel Golfo Persico la tensione è permanente. Le linee marittime energetiche sono oggi colli di bottiglia ad alta densità strategica.

La presenza militare americana nella regione ha raggiunto livelli non visti dal 2003: il gruppo da battaglia della USS Gerald R. Ford è operativo, i sistemi THAAD e Patriot sono in allerta in Kuwait e Arabia Saudita, e UAV MQ-9 Reaper monitorano 24/7 l’asse Hormuz–Iraq.

La dottrina ufficiale rimane quella del “contenimento flessibile”, ma le posture operative del CENTCOM indicano una predisposizione d’attacco a più fasi. Gli “target packages” sono definiti: impianti nucleari sotterranei, radar anti-access a Bandar Abbas, depositi missilistici a Yazd, nodi C2 delle Forze Quds tra Siria e Iraq. Forze speciali (Delta, DEVGRU) sono già in preposizionamento ad Al Udeid, Diego Garcia e forward base in Bahrein.

L’architettura di deterrenza sta cedendo sotto il peso della pressione cinetica e cognitiva. Washington si trova di fronte a un bivio strategico: congelare la soglia nucleare iraniana con uno strike chirurgico o intraprendere un’operazione di degrado prolungato dell’apparato militare e scientifico di Teheran. All’interno del Pentagono il dibattito è acceso. Ogni opzione è onerosa.

Ogni escalation può sfuggire al controllo.

Nel frattempo, Mosca ha attivato la leva opportunistica: in cambio di missili iraniani a lungo raggio per l’impiego in Ucraina, avrebbe trasferito know-how crittografico avanzato e assistenza tecnica sulle centrifughe IR-9. Secondo la DGSE, Teheran ha ormai superato la soglia del 90% di arricchimento dell’uranio: il tempo di breakout si misura in giorni, non in settimane. Il confine tra uso civile e finalità militari è diventato una pura convenzione narrativa.

L’Occidente deve rispondere a una domanda di fondo: può coesistere con un Iran dotato di capacità nucleare, supportato da Mosca e agganciato alla rete economico-strategica cinese?

Se la risposta è no, allora il margine decisionale si è azzerato. La guerra contemporanea, tuttavia, non è più solo cinetica. È cognitiva, ibrida, invisibile. Teheran ha intensificato le offensive cibernetiche: attacchi a SCADA israeliani, infiltrazioni nei fornitori energetici statunitensi, tentativi di sabotaggio su piattaforme NATO.

La risposta USA è stata chirurgica: disruption delle reti radar a Chabahar, blocco funzionale di segmenti C2 dell’aeronautica iraniana. Ma il dominio cyber può davvero sostituire lo scontro convenzionale o sta solo dilatando l’inevitabile Israele, nel frattempo, ha archiviato la via diplomatica. Ha riattivato l’“Opzione Samson”, con simulazioni di strike strategici da parte degli F-35I Adir, transitando in corridoi aerei sauditi e giordani, con armamenti stand-off e copertura ECM avanzata. Tel Aviv non attende più il via libera americano. L’amministrazione Trump, tornata con una dottrina di unilateralismo assertivo, non appare intenzionata a frenare l’alleato.

La questione si fa più ampia: gli Stati Uniti stanno ancora guidando la dinamica strategica o ne sono trascinati? Si attendeva un discorso alla nazione di Trump, ma non si è tenuto, c’è nervosismo tra i consiglieri militari di POTUS, una escalation ora significa prendere parte attiva al conflitto, con ciò che ne consegue, in prima facie? Missili contro le basi USA in Iraq.

Escalation in m.o.

L’Iran corre verso la soglia nucleare protetto dallo scudo russo. Israele è pronto all’azione. Washington è già implicata, anche se formalmente in posizione attendista. Ma il baricentro della sicurezza globale è in gioco. Un attacco statunitense aprirebbe un nuovo fronte che potrebbe espandersi da Suez al Pacifico. Un’inerzia strategica, al contrario, segnerebbe la fine della deterrenza convenzionale, con il rischio di emulazioni da parte di altri attori non allineati.

La vera domanda non è se il conflitto arriverà a una fase, a una escalation in termini di partecipanti. No, no davvero.

È se gli Stati Uniti sono ancora nella posizione di decidere quando attaccare, ma intanto chiudono Ambasciata a Gerusalemme fino al 20 giugno.