di Cristina Di Silvio
All’Aia, si è parlato di difesa. Si è parlato di scenari, di deterrenza, di cybersicurezza, di minacce ibride, di spese da alzare, da rafforzare, da rendere “proporzionate all’instabilità”. Nulla di sorprendente. Tutto perfettamente allineato al linguaggio dell’epoca.
Difesa, un nuovo paradigma, vecchi problemi
Durante il vertice, che secondo alcuni commentatori, ha visto una figura imbarazzante del Segretario Generale della NATO, eccessivamente accondiscendente verso Trump e la sua istrionica politica estera, in un momento qualunque, durante un panel che doveva filare via liscio, qualcuno ha preso la parola e ha detto: “La difesa serve a proteggere una società. Ma se per difenderla la impoveriamo… cosa resterà da difendere?”
Un istante.
Silenzio in sala.
Non perché fosse uno scandalo. Ma perché — per un attimo — ha fatto saltare il ritmo, la retorica, il copione. Che cosa intendiamo oggi per “difendere”? Difendere da chi? Da cosa? Con quali strumenti? E soprattutto: a spese di chi? Ci bardiamo. Tecnologie, droni, scudi antimissile, fondi speciali. Si parla con naturalezza di aumentare la spesa militare al 5% del PIL. Ma quanti sanno davvero cosa significa? Cosa non verrà finanziato, se quei fondi verranno drenati lì? Un reparto oncologico chiuso. Una scuola senza docenti di sostegno. Una linea ferroviaria cancellata in una provincia dimenticata. È questo il prezzo invisibile della sicurezza? E siamo davvero sicuri che ne valga la pena? Il vertice NATO all’Aia (24–26 giugno 2025) è stato presentato come un momento di rinnovata unità.

Nuova guida, Mark Rutte. Nuove linee comuni. Più interoperabilità. Più capacità di risposta. Più deterrenza. Ma dietro la compostezza del comunicato finale, si è aperta una crepa. Una crepa fatta di dubbi. Di voci che — sottovoce — hanno iniziato a chiedere: stiamo ancora parlando di difesa…o stiamo usando la difesa come alibi per rinunciare alla giustizia sociale? Perché le guerre — quelle vere — non si combattono solo nei cieli.
Si combattono nei supermercati dove i prezzi salgono ogni settimana. Negli ospedali dove si aspetta mesi per una diagnosi. Nelle case dove si rinuncia a fare un figlio, a cambiare lavoro, a studiare, per paura del futuro. La vera sicurezza non è un missile puntato verso il nemico. È un medico che ti riceve. È un insegnante che non lascia indietro nessuno. È la certezza che il tuo Stato non ti abbandonerà alla prima crisi.
Allora: possiamo ancora usare quella parola, “difesa”, senza tradirne il senso? Un muro può tener fuori il nemico, certo. Ma non può tenere dentro la fiducia, se la fiducia è già evaporata. E allora chi stiamo difendendo, se dentro le mura resta solo il vuoto? Forse la vera domanda non è: quanto spendere per proteggerci? Ma: che cosa, esattamente, vogliamo ancora proteggere? Una società che taglia tutto tranne la guerra è ancora una società? O è già qualcos’altro? Forse la NATO dovrebbe domandarselo? Forse dovremmo domandarcelo tutti. Prima che il nemico arrivi. Prima ancora che ce ne sia uno.