Giuristi di fama internazionale denunciano crimini di guerra di Israele a Gaza City.
di Cristina Di Silvio
Israele, nuovo attacco alla sua credibilità politica
È una voce che arriva dall’interno.
Una voce tecnica, lucida, giuridicamente impeccabile e soprattutto una voce che non può essere liquidata come ideologica o partigiana.
Sedici tra i più importanti giuristi e accademici di diritto internazionale in Israele hanno firmato una lettera aperta rivolta ai vertici dello Stato e delle forze armate, lanciando un’allerta senza precedenti: le operazioni militari in corso a Gaza City stanno violando in modo sistematico e grave il diritto internazionale umanitario, e i responsabili – civili e militari – potrebbero essere chiamati a rispondere penalmente di fronte alla giustizia internazionale.



La lettera è indirizzata a: Primo Ministro Benjamin Netanyahu, al Ministro della Difesa Israel Katz, alla Consulente legale del governo Gali Baharav-Miara, al Capo di Stato Maggiore Lt. Gen. Eyal Zamir e alla Procuratrice Generale Militare Maj. Gen. Yifat Tomer-Yerushalmi.
La stessa è firmata da studiosi di altissimo profilo, tra cui: il professor David Kretzmer della Hebrew University of Jerusalem, la professoressa Orna Ben-Naftali del College of Management, il professor Eyal Benvenisti dell’Università di Cambridge e della Tel Aviv University, la professoressa Iris Canor del College of Law and Business, il professor Aeyal Gross della Tel Aviv University, il professor Guy Harpaz della Hebrew University, il professor Moshe Hirsch della stessa università, la professoressa Tamar Hostovsky Brandes dell’Ono Academic College, il dottor Amos Israel-Vleeschhouwer dell’IDC Herzliya, il professor Eliav Lieblich della Tel Aviv University, la dottoressa Doreen Lustig sempre della Tel Aviv University, la dottoressa Tamar Megiddo dell’Università di Haifa, la professoressa Yael Ronen della Hebrew University e del Minerva Center, la dottoressa Michal Saliternik dell’Ono Academic College, il professor Yuval Shany della Hebrew University e membro del Comitato ONU per i Diritti Umani e infine la dottoressa Limor Yehuda della Hebrew University.
Tutti nomi di spicco del diritto israeliano e internazionale, uniti da una denuncia chiara, articolata e fondata giuridicamente.
Secondo i firmatari, l’operazione militare lanciata il 15 settembre 2025 da parte delle Forze di Difesa Israeliane (IDF) rappresenta una minaccia concreta allo Stato di diritto. Le prime 24 ore dell’offensiva hanno visto una serie di bombardamenti a tappeto su edifici residenziali in tutta Gaza City, provocando più di cento vittime civili, centinaia di feriti e un’ondata di sfollamenti interni di proporzioni mai viste. Ma il cuore della denuncia non è il dato numerico, bensì il metodo.
I giuristi mettono in discussione la legalità dell’intera architettura dell’operazione basandosi su quattro pilastri fondamentali del diritto internazionale dei conflitti armati: il principio di distinzione tra obiettivi militari e civili, il principio di proporzionalità che vieta attacchi sproporzionati rispetto all’obiettivo militare, l’obbligo di precauzione che impone di adottare tutte le misure possibili per ridurre il danno ai civili e il divieto di trasferimento forzato, in particolare quando accompagnato da distruzione sistematica delle infrastrutture civili.
La lettera specifica che “la diffusa distruzione di edifici residenziali, in assenza di prove chiare che tali edifici siano utilizzati dall’organizzazione Hamas e in assenza di una necessità militare specifica per la loro distruzione, costituisce una violazione del principio di distinzione.” Inoltre, “una preoccupazione generale che un edificio possa essere utilizzato da Hamas in futuro non lo trasforma in un obiettivo militare legittimo nel presente.”
Solo in presenza di informazioni certe circa l’uso militare di un edificio, o di un vantaggio tattico tangibile per il nemico durante le ostilità, un attacco potrebbe essere legittimo, e ciò solo “dopo aver preso precauzioni e a condizione che l’attacco rispetti il principio di proporzionalità, ossia che il danno civile atteso non sia eccessivo rispetto al vantaggio militare concreto atteso.” L’estensione e la portata dei bombardamenti iniziati il 15 settembre, unita alle dichiarazioni pubbliche del Ministro della Difesa circa l’intenzione di distruggere interamente Gaza City, “sollevano gravi preoccupazioni circa la violazione dei principi di distinzione e proporzionalità.”
Un altro punto cruciale riguarda l’ordine imposto alle circa un milione di persone residenti nella città di evacuare immediatamente verso un’area definita “umanitaria” nel sud-ovest della Striscia di Gaza. La lettera sottolinea come “lo sgombero di una popolazione da una zona di combattimento è lecito solo se sono soddisfatte condizioni cumulative stringenti.”
Tra queste, la sicurezza degli sfollati durante l’evacuazione e la presenza di condizioni di vita adeguate nell’area di destinazione. Tuttavia, “dalle informazioni disponibili a oggi, queste condizioni non sono soddisfatte in relazione all’attuale evacuazione da Gaza, sia per la difficoltà per circa un milione di abitanti di spostarsi lungo strade interrotte e senza mezzi adeguati, sia per le dure condizioni di vita nella cosiddetta area ‘umanitaria’, che include fame, sovraffollamento, scarsa igiene e carenza di servizi medici.”
Un’ulteriore condizione fondamentale perché lo sgombero sia lecito è che sia temporaneo e non permanente.
“La vasta distruzione di edifici residenziali e infrastrutture a Gaza City, dove i residenti dovrebbero poi far ritorno, unita alle dichiarazioni di figure politiche di alto livello riguardo a piani di espulsione o ‘migrazione volontaria’ della popolazione, solleva serie preoccupazioni circa la reale temporaneità dell’evacuazione.”
Inoltre, come riportato da YNET, il Ministro delle Finanze ha aggiunto una dichiarazione di intento di trasformare Gaza in una “miniera immobiliare” per Israele, alimentando ulteriormente i timori di uno spostamento permanente forzato. I giuristi ricordano inoltre che “anche se i militari ordinano ai civili di lasciare un luogo perché intendono attaccarlo, i civili che rimangono non perdono il loro status di persone protette.” Non si può quindi presumere che negli edifici bersaglio non ci siano civili solo perché è stato ordinato loro di evacuare.
“Il principio di proporzionalità e l’obbligo di adottare precauzioni si applicano finché esiste un rischio di danno ai civili a causa degli attacchi.” È significativo che le preoccupazioni espresse in questa lettera trovino eco anche all’interno delle istituzioni militari. Secondo un rapporto di Haaretz del 10 settembre 2025, la Procuratrice Militare Generale Yifat Tomer-Yerushalmi ha avvertito il Capo di Stato Maggiore che non è lecito ordinare l’evacuazione di un milione di persone senza garantire condizioni di vita adeguate nell’area di destinazione, ma il suo parere è stato ignorato.
Un altro reportage di Haaretz pubblicato ieri riporta che funzionari della sicurezza hanno segnalato come lo spostamento di centinaia di migliaia di residenti verso l’area “umanitaria” potrebbe aggravare drasticamente sovraffollamento e diffusione di malattie, mettendo a serio rischio la vita degli sfollati.
Inoltre, le stime militari indicano che decine o forse centinaia di migliaia di persone non riusciranno ad evacuare a causa di vincoli fisici ed economici e rimarranno intrappolate nella città bombardata, esponendosi a rischi estremi.
Alla luce di queste gravi preoccupazioni, i giuristi concludono che “le forze armate devono cessare immediatamente l’operazione militare su larga scala a Gaza City e fermare l’evacuazione di massa dei residenti.” Anche se l’operazione fosse finalizzata a uno scopo militare legittimo – e vi sono forti dubbi a riguardo, anche a fronte delle riserve espresse dal Capo di Stato Maggiore sulla necessità dell’azione – qualora comporti danni indiscriminati o sproporzionati ai civili o trasferimenti forzati permanenti senza condizioni di vita dignitose, è illegale e “ciò comporta responsabilità penali per i responsabili.”
In un momento storico in cui le guerre moderne sembrano fagocitare ogni limite, questa lettera rappresenta una presa di posizione coraggiosa e tecnica, un invito a fermarsi, riflettere e rispettare il diritto.
Non è solo un atto di accusa: è un richiamo al rispetto delle regole che distinguono la legittima difesa dallo sfascio morale e legale. Israele è chiamata a scegliere se continuare sulla strada dell’impunità o riaffermare il primato del diritto, dentro e fuori dai propri confini. Come ricordava il premio Nobel per la pace Elie Wiesel, sopravvissuto all’Olocausto e voce morale imprescindibile del popolo ebraico, “Dove il male trionfa, è colpa di chi sta a guardare.” Quella lettera, dunque, è anche un monito a non restare spettatori, ma a farsi parte attiva nella difesa della dignità umana e della giustizia.