Beirut e Gaza: due crateri nel diritto internazionale

Crateri? Si, non è esagerata come definizione, oramai la ipocrisia che si nasconde dietro la storia di Israele si sta diradando, il velo è liso, oramai, a Gaza è genocidio. Il punto è semplice: il diritto internazionale non può essere facoltativo.

*di Cristina Di Silvio

Gaza e Libano, una terra contesa dalla giustizia

Cinque anni fa, il 4 agosto 2020, alle 18:08, Beirut fu teatro di una delle più gravi esplosioni non nucleari mai registrate nella storia contemporanea.

Un’enorme nube bianca, seguita da un fungo di fumo rosso e da un’onda d’urto devastante, cancellò interi quartieri nel raggio di chilometri, i crateri qua sono fisici, ma, si vedrà, lo sono anche di carattere politico.

Il bilancio fu drammatico: almeno 246 morti, oltre 7.000 feriti e più di 300.000 persone rimaste senza un’abitazione. Tuttavia, a distanza di cinque anni, ciò che resta non sono solo le rovine materiali, ma un vuoto sistemico nella giustizia libanese.

L’inchiesta giudiziaria è stata progressivamente paralizzata da un sistema istituzionale impermeabile alla trasparenza e alla responsabilità. Gli imputati non sono semplici cittadini, ma alti funzionari dello Stato: ex ministri, ufficiali dell’esercito, dirigenti doganali. Tutti erano a conoscenza della presenza, nel magazzino 12 del porto, di oltre 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio.

Nessuno ha agito. Nessuno ha pagato.

Il primo giudice incaricato, Fadi Sawan, venne rimosso per aver incriminato due ex ministri legati al movimento sciita Amal. Il suo successore, Tarek Bitar, ha tentato di rilanciare le indagini nel 2025, ma è stato ostacolato dalla magistratura stessa. Quando ha convocato figure apicali, incluso il procuratore generale Ghassan Oweidat, si è scatenata una controffensiva istituzionale culminata nella sua delegittimazione.

Questo scenario costituisce una violazione manifesta dell’Articolo 14 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, ratificato dal Libano nel 1972, che sancisce il diritto a un processo equo e l’indipendenza della magistratura. In assenza di giustizia, i familiari delle vittime continuano a mobilitarsi: chiedono che i silos di grano, simbolo della tragedia, vengano riconosciuti come sito di memoria dall’UNESCO, in base alla Convenzione del 1972 sul patrimonio mondiale.

Tuttavia, il governo libanese, anziché valorizzare la memoria, procede verso la demolizione. La comunità internazionale osserva, ma resta sostanzialmente inerte. L’Unione Europea ha espresso supporto formale, e organizzazioni come Human Rights Watch e la Commissione Internazionale dei Giuristi hanno sollecitato il governo libanese. Ma nessuna azione concreta è stata intrapresa.

Gaza, assurda inconsistenza della comunità internazionale

Gaza crateri

Nuovi scatti di Heidi Levine della distruzione di massa a Gaza City.

Questo vuoto di giustizia riecheggia in un altro scenario di crisi: Gaza. Anche qui, il diritto internazionale appare sospeso. Le operazioni militari in corso da parte di Israele hanno provocato migliaia di vittime civili e una crisi umanitaria senza precedenti.

Anche qui, il diritto internazionale appare sospeso. Le operazioni militari in corso da parte di Israele hanno provocato migliaia di vittime civili e una crisi umanitaria senza precedenti. Il blocco degli aiuti, la distruzione delle infrastrutture sanitarie e la carestia deliberata si configurano come violazioni gravi del Diritto Internazionale Umanitario (DIU) e della Quarta Convenzione di Ginevra.

Oggi, mentre si commemorano le vittime di Beirut, in decine di capitali si protesta per Gaza. Oltre alle mobilitazioni in Italia – da Roma a Milano, da Firenze a Napoli – si registrano manifestazioni in Parigi, Berlino, Londra, Madrid, Istanbul, New York, Washington DC, Johannesburg, Toronto, Buenos Aires, Tokyo e Melbourne.

Ovunque, migliaia di cittadini chiedono il cessate il fuoco, l’apertura dei corridoi umanitari e il rispetto del diritto internazionale. A Roma, oltre 50.000 persone si sono radunate in piazza San Giovanni. A Londra, si è tenuta una marcia davanti a Westminster con la partecipazione di membri del Parlamento e rappresentanti della società civile britannica.

A New York, attivisti hanno protestato davanti al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, reclamando un immediato intervento diplomatico. Il Segretario Generale dell’ONU, António Guterres, ha lanciato un appello urgente: «Servono subito corridoi umanitari. Il diritto internazionale umanitario non è facoltativo».

Parole che non possono restare isolate: la crisi di Gaza ha superato la soglia dell’intollerabile. Fame, sete e malattia sono diventate armi.

L’indifferenza, ancora una volta, rischia di trasformarsi in complicità. Beirut e Gaza appaiono geograficamente distanti, ma condividono un’origine comune: il collasso delle istituzioni e l’erosione del diritto.

Elementi comuni, realtà vicine, aspetti diversi

A Beirut, l’impunità si è istituzionalizzata.

A Gaza, la sproporzione dell’offensiva militare solleva interrogativi fondamentali sul concetto stesso di responsabilità internazionale.

La lezione è chiara: uno Stato che non garantisce giustizia ai propri cittadini diventa vulnerabile, non solo sul piano sociale e politico, ma anche in termini di sicurezza. La fragilità giudiziaria è un moltiplicatore di instabilità.

Nel quinto anniversario dell’esplosione a Beirut, e mentre a Gaza si continuano a contare i morti di oggi e quelli di domani, la comunità internazionale è posta di fronte a una scelta: diritto o cinismo, verità o rimozione, giustizia o assedio.

Perché il tempo, da solo, non guarisce.

Senza giustizia, anche la verità diventa solo un’altra ferita aperta.