di Cristina Di Silvio
Dal riarmo strutturale alla rinascita industriale, Londra ridisegna la propria influenza strategica nel mondo NATO.
Londra chiama al riarmo, l’Europa osserva, pericolo Russia?
La Brexit è alle spalle, ora si punta al comando del fronte euro-atlantico. Dietro la formula politica “NATO First”, incisa nella nuova Strategic Defence Review 2025, si muove una trasformazione concreta, profonda e intenzionalmente sistemica: il ritorno del Regno Unito come potenza militare e industriale centrale nello scacchiere euro-atlantico.

Dopo anni di austerità difensiva, di ridimensionamento delle forze e perdita di peso operativo, Londra sceglie la strada opposta: riarmo strutturale, rilancio industriale e ambizione strategica. La guerra in Ucraina ha accelerato la consapevolezza: il tempo della deterrenza “a basso costo” è finito. Il Regno Unito vuole tornare protagonista — e lo sta facendo con metodo.
Dagli anni 2010 in poi, le Forze Armate britanniche avevano subito una compressione significativa: tagli lineari, riduzione di effettivi, rinvii nei programmi di ammodernamento. Le capacità di proiezione erano rimaste, ma il volume non era più all’altezza di un attore globale. Con l’arrivo del governo Starmer, la difesa è tornata in cima all’agenda. Obiettivo dichiarato: portare la spesa al 2,5% del PIL entro il 2029, andando oltre la soglia NATO e destinando oltre 20 miliardi di sterline aggiuntivi a forze armate, tecnologie e industria.
Le direttrici sono chiare: Ripristino della prontezza operativa, con attenzione a logistica, mobilitazione e munizionamento; Ammodernamento tecnologico in settori chiave come cyber, spazio e intelligenza artificiale militare; Sostegno all’export e all’interoperabilità con i partner NATO, con l’idea di rendere l’industria britannica un perno del sistema atlantico.
A trainare questa nuova stagione c’è la base industriale della difesa, che torna al centro della strategia nazionale. Attorno a colossi come BAE Systems, Rolls-Royce Defence, Leonardo UK e MBDA UK, si sta ricostruendo un tessuto fatto di PMI tech, consorzi pubblico-privati e centri di ricerca, da Glasgow ai cantieri di Barrow-in-Furness. Due progetti-simbolo marcano il rilancio: Il programma SSN-AUKUS, per nuovi sottomarini d’attacco nucleari realizzati con Stati Uniti e Australia, che coniuga deterrenza strategica e spinta industriale; il caccia di sesta generazione Tempest, sviluppato insieme a Italia e Giappone, alternativa euro-atlantica al modello franco-tedesco FCAS.
Il Regno Unito scommette su una sovranità tecnologica “atlantica”, non chiusa in logiche nazionali, ma integrata nel quadro NATO e distante dalle ambiguità strategiche dell’Unione Europea continentale. La guerra in Ucraina ha esposto il tallone d’Achille occidentale: una capacità produttiva inadeguata a conflitti di lunga durata. Londra sta colmando il gap: nuove linee produttive per munizioni da 155mm, ampliamento delle capacità di MBDA UK per missili Brimstone e Storm Shadow, investimenti in droni autonomi e sistemi di guerra elettronica. Il Ministero della Difesa ha rafforzato i contratti con RBSL (Rheinmetall BAE Systems Land), e siglato nuove intese per l’aumento della “prontezza industriale”, anche attraverso partenariati con Stati Uniti, Canada e Paesi baltici. Il concetto guida è chiaro: non basta essere pronti sul campo, serve essere pronti in fabbrica. Londra non si limita a un riarmo “quantitativo”.
Il vero obiettivo è politico-strategico: diventare il cuore operativo e industriale della NATO in Europa.Nel nuovo equilibrio dell’Alleanza, dove gli Stati Uniti tengono saldo il comando operativo (come ribadito dalla nomina del generale Grynkewich a SACEUR), il Regno Unito punta al ruolo di primo alleato: fornitore, innovatore, regista. In questa visione, Londra si muove con determinazione nel NATO Innovation Fund, guida la Joint Expeditionary Force (JEF) e gioca un ruolo di primo piano nel consorzio DIANA (Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic). La sua strategia è chiara: rafforzare il legame transatlantico, senza sottostare al disordine continentale europeo. Nel Regno Unito, il riarmo non è (più) un tema divisivo. Viene percepito come un investimento nella sicurezza nazionale e internazionale, in continuità con la tradizione di potenza responsabile.
La Brexit ha spinto Londra fuori dai tavoli decisionali di Bruxelles, ma l’ha anche liberata da vincoli politici ed economici. Oggi, il Regno Unito non chiede permessi: si propone come perno operativo e tecnologico della difesa occidentale, pronto a garantire deterrenza, produzione e interoperabilità. In un’Alleanza dove gli equilibri si fanno sempre più competitivi, il messaggio è chiaro: se il comando resta americano, il motore della NATO — almeno in Europa — può benissimo essere britannico.