Inutile girarci attorno, oramai l’aria attorno a Israele è cambiata. Il riferimento corre al sentiment comune che vede una comunità internazionale (tra alti e bassi) e una opinione pubblica, sempre più contrariate (eufemismo, n.d. Marascio) dalle operazioni militari condotte da Israele nella Striscia di Gaza. Allo stato attuale la gestione del conflitto di “Bibi” Netanyahu sta destabilizzando l’intera area: sconfinamento territori siriani, genocidiario utilizzo di armi desuete ma ugualmente”efficaci”, come la procurata carestia di beni e servizi a carico dei gazesi, stante una crescente resistenza politoca interna, dato che il massacro portato avanti nella striscia non è riuscito nella liberazione degli ostaggi del pogrom del 7 ottobre. Alla destabilizzazione condotte con le armi, la “resistenza” risponde esercitando la paura indotta da un terrorismo sempre più subdolo e che colpisce anche città occidentali. Di recente è stata la volta di Washington mentre viene rafforzata la vigilanza a obiettivi sensibili anche in Italia.
Attacco al cuore degli USA
di Cristina Di Silvio
Il 21 maggio 2025, un attacco armato a Washington D.C. ha causato la morte di due membri dello staff dell’Ambasciata di Israele, colpiti nei pressi del Lillian & Albert Small Capital Jewish Museum. L’attentato, compiuto da un cittadino statunitense radicalizzato e ispirato da ideologie pro-palestinesi estremiste, ha proiettato con drammatica chiarezza la violenza del conflitto israelo-palestinese all’interno dello spazio diplomatico e simbolico dell’Occidente. L’episodio segna una grave violazione del principio di inviolabilità diplomatica sancito dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, e costituisce un precedente pericoloso in un contesto già segnato da crescente polarizzazione ideologica e da una proliferazione globale di attori non statuali radicalizzati.
Dinamiche dell’assalto e status delle vittime
Alle ore 21:08 (EST), Elias Rodriguez, 30 anni, ha aperto il fuoco contro un gruppo di partecipanti a un evento promosso dall’American Jewish Committee, uccidendo Yaron Lischinsky, funzionario politico dell’ambasciata israeliana, e Sarah Milgrim, consulente per le relazioni bilaterali e cooperazione culturale. Entrambi erano registrati come “personale diplomatico” ai sensi dell’articolo 1 della Convenzione di Vienna, beneficiando quindi della tutela giuridica internazionale riservata ai rappresentanti ufficiali di missioni estere. Il fatto che l’attacco sia avvenuto in un contesto pubblico, ma connesso a un ente ebraico di rilevanza simbolica, evidenzia la dimensione intenzionale e politica del gesto. L’attentatore è stato immediatamente arrestato e posto sotto custodia federale; è attualmente indagato in base al 18 U.S. Code § 2332 – Atti di terrorismo contro cittadini statunitensi all’estero, oltre che per omicidio plurimo aggravato da movente ideologico.
Profilo dell’attentatore e dimensione della radicalizzazione
Rodriguez era sotto osservazione da parte del DHS per la sua affiliazione con gruppi della sinistra extraparlamentare e per la partecipazione a forum legati al movimento BDS (Boycott, Divestment, Sanctions), alcune delle cui frange più estreme sono considerate veicoli di propaganda antisemita da numerosi osservatori, tra cui l’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance). Secondo i risultati preliminari dell’indagine congiunta condotta da FBI, Joint Terrorism Task Force (JTTF) e Mossad, l’attentatore agiva come “lone actor”, pur essendo esposto a una rete ideologica transnazionale che promuove la radicalizzazione attraverso canali digitali. La sua attività in forum di incitamento alla violenza configura una violazione della UN Security Council Resolution 2396 (2017) sul contrasto ai “foreign terrorist fighters” e alla radicalizzazione online.
Reazioni ufficiali e mobilitazione multilaterale
Il Presidente Donald Trump ha condannato l’attentato come “un atto antisemita di matrice ideologica, inaccettabile in una società fondata sul pluralismo”. L’Amministrazione ha attivato le disposizioni previste dal National Strategy for Counterterrorism (revisione 2024), mentre il Dipartimento di Stato ha aggiornato i protocolli di sicurezza per tutte le missioni israeliane negli USA in base alla Foreign Missions Act del 1982.

Israele ha reagito immediatamente attraverso una nota formale inviata al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, chiedendo l’attivazione dell’art. 39 della Carta delle Nazioni Unite per qualificare l’atto come “minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”. Il Primo Ministro Netanyahu ha evocato il principio di jus cogens per sottolineare la gravità di un attacco a personale diplomatico in tempo di pace, sollecitando misure urgenti e vincolanti.
Il Segretario Generale dell’ONU ha convocato un vertice straordinario del Consiglio di Sicurezza, durante il quale diversi Stati membri – inclusi Francia, Germania e Regno Unito – hanno appoggiato la proposta israeliana di rafforzare la protezione diplomatica attraverso un nuovo meccanismo multilaterale di early warning.
Il contesto geopolitico: escalation e transnazionalizzazione del conflitto
L’attentato si colloca in una fase di grave instabilità internazionale: l’offensiva israeliana su Gaza (aprile-maggio 2025), il deterioramento delle relazioni con l’Iran, e la crisi umanitaria in Cisgiordania hanno riacceso le polarizzazioni globali. In particolare, le operazioni militari condotte da Israele a Gaza, descritte da numerosi osservatori internazionali – tra cui Human Rights Watch, Amnesty International e UN OCHA – come gravemente sproporzionate e lesive dei diritti umani fondamentali, hanno provocato migliaia di vittime civili, incluso un numero elevatissimo di donne e bambini. Interi quartieri residenziali sono stati rasi al suolo, ospedali e infrastrutture civili colpiti, lasciando la popolazione stremata e senza vie di fuga. Questi atti, definiti da alcuni giuristi come potenziali crimini di guerra, hanno suscitato un’ondata di indignazione globale, alimentando movimenti di protesta e sentimenti di rabbia, specialmente tra le comunità diasporiche e i giovani attivisti digitali. La crescente permeabilità delle società occidentali alle narrative estremiste ha prodotto un ecosistema favorevole alla “auto-radicalizzazione ideologica”, descritta già nella UN General Assembly Resolution 60/288 (2006) – United Nations Global Counter-Terrorism Strategy. L’attacco a Washington costituisce un raro caso di “attentato diplomatico su suolo occidentale” e impone un aggiornamento delle analisi di rischio. Le minacce non provengono più solo da gruppi terroristici strutturati (es. Hamas, Hezbollah), ma anche da attori disorganici ispirati da ideologie simmetricamente contrapposte che agiscono in assenza di comando centrale.

Normativa internazionale sulla protezione diplomatica: lacune e prospettive
La Convenzione di Vienna del 1961, all’articolo 29, stabilisce che “la persona dell’agente diplomatico è inviolabile. Egli non può essere soggetto ad alcuna forma di arresto o detenzione.” L’attentato del 21 maggio viola in modo palese tale principio, generando una responsabilità oggettiva dello Stato ospitante in termini di tutela insufficiente. La UN Resolution 36/103 (1981) sul diritto dei popoli alla pace richiama inoltre il dovere degli Stati di impedire che atti di violenza politica compromettano il funzionamento delle missioni diplomatiche, elemento essenziale per la stabilità dell’ordine internazionale. In risposta, Israele ha proposto la convocazione di una Conferenza internazionale sulla sicurezza diplomatica, con l’obiettivo di emendare e ampliare le clausole di protezione della Convenzione di Vienna alla luce delle nuove minacce ibride, in particolare in ambito urbano e simbolico.
Antisemitismo, libertà di espressione e risposta normativa
A livello interno, l’attentato ha riaperto il dibattito sull’equilibrio tra libertà di espressione (First Amendment) e contrasto all’incitamento all’odio. Organizzazioni come l’Anti-Defamation League hanno chiesto l’adozione a livello federale del Domestic Terrorism Prevention Act, ancora in discussione al Congresso, che consentirebbe una più efficace identificazione e monitoraggio dei soggetti radicalizzati per motivi ideologici. L’Unione Europea, tramite l’Agenzia FRA (Fundamental Rights Agency), ha invitato gli Stati membri a recepire la Definizione Operativa di Antisemitismo dell’IHRA, che identifica anche l’ostilità “mascherata da antisionismo” come forma discriminatoria. In parallelo, il Parlamento Europeo ha calendarizzato una sessione straordinaria per discutere l’applicazione extraterritoriale delle norme anti-odio nel contesto digitale.
Un nuovo paradigma di rischio
L’attacco del 21 maggio non è un caso isolato, ma un sintomo strutturale. Esso rivela una mutazione qualitativa del rischio, dove la violenza politica si proietta su nuovi spazi – fisici, simbolici, diplomatici – e richiede un aggiornamento del toolkit normativo, operativo e strategico delle democrazie occidentali. Serve una risposta multilaterale, fondata sul coordinamento tra intelligence, diplomazia, diritto internazionale e governance digitale, in linea con i principi della UN Resolution 1373 (2001), che impone agli Stati membri l’obbligo di prevenire e reprimere atti terroristici, anche se compiuti da singoli individui. In gioco non c’è solo la sicurezza di Israele e dei suoi rappresentanti, ma l’integrità stessa dell’ordine internazionale fondato su legittimità, negoziazione e rispetto reciproco tra Stati sovrani.