Il Giappone di oggi, tra crisi interna e ridefinizione regionale, un governo in bilico in un mondo in trasformazione.
di Cristina Di Silvio
Takaichi in Giappone non eredita il potere, ma il problema della sua legittimazione
Il 4 ottobre 2025 segna una svolta: Sanae Takaichi ha trionfato nelle primarie del Partito Liberal Democratico (PLD), ponendosi come possibile prima premier donna nella storia del Giappone.
L’evento non è solo simbolico; rappresenta il punto di arrivo di tensioni interne, fratture ideologiche e una crisi di fiducia che ha minato la tradizionale stabilità del PLD.
Il suo predecessore, Shigeru Ishiba, si è dimesso in seguito alla perdita della maggioranza parlamentare da parte della coalizione PLD–Kōmeitō. Il disegno elettorale si è rivelato impietoso: la coalizione è diventata minoritaria e la necessità di alleanze esterne è divenuta obbligata.
Il PLD, da tempo “big tent” che ospita correnti conservatrici moderate e nazionaliste estreme, appare ora diviso su linee di rinnovamento, strategie economiche e identità nazionale. Takaichi assume ufficialmente la guida del partito in un momento critico: il consenso all’interno è volatile, le sfide interne incalzano e la legittimazione — sia interna al PLD che agli occhi dell’opinione pubblica — rappresenta una ferita non rimarginata. La promessa di continuità con Abenomics e una politica estera assertiva non bastano: dovrà formare un governo che regga il confronto parlamentare.
La nuova leadership si trova costretta a governare senza maggioranza assoluta. La logica delle coalizioni è mutata: non è più sufficiente un’alleanza estesa e organica, ma serve un mosaico di intese flessibili, su misura per ciascun provvedimento. In tale scenario: Il Partito Democratico del Popolo (PDP) mantiene un atteggiamento prudente verso qualsiasi alleanza strutturale. Potrà collaborare su dossier specifici, ma evita impegni vincolanti. Il Nippon Ishin no Kai, partito riformista e centrista, potrebbe diventare partner tattico, ma è ostacolato dal veto del Kōmeitō, che rappresenta l’alleato storico del PLD e spesso arbitra l’equilibrio della coalizione. Il PLD dovrà barcamenarsi tra correnti interne — quelle moderate più propense al dialogo e quelle nazionaliste che chiedono coerenza ideologica severa — gestendo equilibri che rischiano di esplodere ad ogni voto chiave. Ogni misura legislativa diventa luogo di scontro e compromesso.
Ogni voto è un esame di sopravvivenza politica, l’Europa lo sa bene, Macron ancora meglio, basta dare uno sguardo all’esito delle elezioni Europee e subito dopo alla nomina di ben sei primi ministri, ma continuiakmo con il Giappone.
La fragilità del governo è un rischio strutturale. Divergenze tra PLD e Kōmeitō, tensioni tra ali interne, defecting occasionali — tutto può compromettere l’efficacia dell’azione legislativa. Se i voti non passano, la popolarità cala, la pressione cresce e la tenuta politica potrebbe incrinarsi in modo irreversibile. Takaichi entra in carica non con un potere consolidato, ma con l’urgenza di costruire quotidianamente. Il bilancio dello Stato giapponese per l’anno fiscale 2025 (aperto ad aprile) è di 115,2 trilioni di yen, con una crescita del 2,6 % rispetto all’anno precedente. Questa cifra è un record storico e riflette la spinta espansiva che il governo si è imposto, pur dovendo ridurre un taglio di circa 300 miliardi di yen rispetto al progetto iniziale, causa fragilità politica. Una porzione consistente del budget — circa 8,7 trilioni di yen — è destinata alla difesa, con un incremento del circa 9,7 % rispetto all’anno precedente. Questo conferma che Tokyo intende accelerare verso l’obiettivo del 2 % del PIL da destinare alla spesa militare entro il 2027.

Per supportare tali spese, è probabile che emergano programmi aggiuntivi di emissione obbligazionaria, oltre a possibili pacchetti integrativi fiscali. Ma con il debito pubblico “lordo” che supera i 1.324 trilioni di yen — pari a 234,9 % del PIL — la leva del deficit è ormai su livelli estremi. L’inflazione giapponese, al 2,7 % in agosto, ha riacceso il dibattito su quanto la Bank of Japan (BoJ) debba intervenire. Takaichi si è dichiarata contraria a ulteriori rialzi dei tassi, attualmente allo 0,5 %. Tale posizione rischia di acuire il conflitto tra esecutivo e banca centrale, che potrebbe assumere nuove sfumature di indipendenza attiva. Il governatore Ueda ha già mostrato cautela, segnalando che l’incertezza globale — ad esempio la debolezza del mercato del lavoro statunitense o l’impatto dei dazi — crea un fattore di instabilità nel prendere decisioni sui tassi.
Nel 2025 la BoJ ha effettuato un rialzo di 25 punti base (fino allo 0,5 %); ma per il resto dell’anno, la prospettiva appare congelata, almeno finché non emergono segnali più solidi di crescita salariale e dinamiche inflazionistiche endogene. La contraddizione di base è nota: Tokyo vuole stimolare l’economia per sostenere spesa pubblica e riforme, ma una BoJ troppo prudente può vanificare parte del disegno espansivo. I
l debito pubblico pro capite è ormai immenso. Con oltre l’88 % dei titoli di Stato detenuti internamente (banche domestiche, assicurazioni, BoJ), il Giappone gode ancora di una certa stabilità interna, ma il margine di manovra è ridotto. Per finanziare la politica difensiva e gli investimenti tecnologici, il governo sta già considerando nuove imposte: a partire dal 2026 si potrebbe introdurre una sovrattassa sul reddito d’impresa (+4 %) e aumenti specifici per i tabacchi, mentre dal 2027 si ragiona su una sovrattassa dell’1 % sull’imposta sul reddito personale. Tuttavia, queste misure dovranno essere bilanciate con la necessità di non deprimere la crescita privata. Le imprese, già sotto pressione per costi del lavoro e input importati, rischiano di essere appesantite ulteriormente. La spesa sociale — in particolare pensioni, sanità e assistenza — assorbe circa un terzo del totale delle spese, e la sua crescita è ineludibile dati i trend demografici. Per contenere la dipendenza da fornitori esteri, il governo giapponese ha accumulato politiche di promozione dell’innovazione interna. In particolare: Cybersecurity: Tokyo prevede di approvare entro fine 2025 una nuova strategia nazionale che rafforzi la cooperazione pubblico-privato, punti su standard quantistici sicuri, e promuova la produzione di software domestico, con l’obiettivo di salire dal 10 % attuale al 40 % del mercato interno. Tecnologie dual-use: Il ministero dell’Economia ha stanziato incentivi per sostegno a start-up che operino in intelligenza artificiale, robotica, satelliti e sensori avanzati. Le sinergie con la difesa diventano sempre più evidenti. Progetti congiunti internazionali: il Giappone collabora con AUKUS (Australia, Regno Unito, Stati Uniti) per la ricerca su droni intelligenti e tecnologie militari integrate, ponendosi come hub tecnologico nell’Indo‑Pacifico. Parallelamente, la debolezza dello yen — che ha oscillato tra 155 e 161 yen per dollaro — ha fatto esplodere i costi di importazione per equipaggiamenti militari americani. Ciò impone a Tokyo di rivedere piani di acquisto, ritardare ordini o spostare risorse su soluzioni locali.
Negli ultimi anni, il Giappone ha iniziato a scostarsi dal paradigma tradizionale — fondato sull’autodifesa — verso una dottrina più assertiva, nota come “strike-back”. Ciò implica la capacità preventiva di colpire obiettivi esterni che rappresentano minaccia imminente. Il budget 2025 — 8,7 trilioni di yen — segna un “salto di fase” in questa trasformazione. Acquisto di missili Tomahawk: Tokyo ha siglato un accordo con gli Stati Uniti per l’acquisto di fino a 400 missili da crociera. Le consegne dovrebbero iniziare entro il 2025, contribuendo alla dotazione “stand-off” del Paese. Sistemi anti-missile avanzati: circa 533 miliardi di yen sono allocati per intercettori e radar mobili, in particolare sull’isola di Okinawa, cruciale base strategica americana nel Pacifico. Difesa navale e marina: Tokyo prevede di costruire nuove navi multiuso, potenziare le capacità Aegis e sviluppare mezzi stealth navali. Alcuni progetti prevedono la cooperazione con il Regno Unito e l’Italia su un nuovo caccia di prossima generazione. Forze missilistiche terrestri: il piano include la produzione di missili a lunga gittata (oltre 1.000 km), con l’obiettivo di colpire eventuali basi nemiche o piattaforme offshore. Supporto alle Forze d’auto-difesa (JSDF): riforme nella struttura organizzativa, incentivi al reclutamento, miglioramenti salariali e tecnologie integrate per una maggiore interoperabilità. Questa trasformazione si inscrive nel quadro più ampio della strategia di sicurezza nazionale adottata nel 2022. Da allora il Giappone ha rivisto la sua postura difensiva, dichiarando che la minaccia cinese, nordcoreana e russo-cinese rappresenta il contesto più severo di spazio dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Il passaggio da “difesa passiva” a deterrenza attiva è rischioso. Alcuni punti critici: Costi proibitivi: la debolezza dello yen rende sempre più costose le acquisizioni dall’estero. Alcuni ordini sono già stati ridimensionati. Vincoli costituzionali: l’articolo 9 della Costituzione giapponese limita l’uso della forza. Ogni mossa verso una postura più aggressiva dovrà essere giustificata in termini di autodifesa preventiva e non offensiva. Intensificazione della corsa regionale agli armamenti: Pechino ha risposto con aumenti rilevanti nel budget militare (oltre 300 miliardi USD nel 2023) e cooperazioni militari con Mosca e Corea del Nord. Pressioni esterne sull’alleanza USA-Giappone: Washington potrebbe chiedere un contributo maggiore al Giappone, non solo finanziario ma strategico, ad esempio una partecipazione integrata allo spazio, cyber e difesa antimissile. Sovraccarico della spesa pubblica: investire pesantemente sulla difesa rischia di sottrarre risorse agli investimenti sociali, infrastrutturali e alle emergenze demografiche.Takaichi, nella sua visione strategica, appare decisa a consolidare il ruolo del Giappone nell’Indo-Pacifico. In quel contesto: La partecipazione ai programmi AUKUS e la cooperazione con India, Australia e ASEAN diventano centrali per contrastare l’egemonia cinese nel mare di Cina Meridionale e nel Pacifico. Il Giappone sta rafforzando il programma di assistenza alla sicurezza (Official Security Assistance, OSA) nei paesi del Sud-est asiatico, incrementando la donazione di radar, droni e sistemi di sorveglianza marittima. Nel 2025 il numero dei paesi beneficiari verrà raddoppiato. Tokyo si sta facendo promotrice di una rete regionale di intelligence satellitare e radar costieri, collegata agli Stati Uniti, alla Corea del Sud (nel quadro del patto trilaterale) e all’Australia.
Il Giappone potrebbe assumere un ruolo di “facilitatore tecnologico” per penetrare nei paesi ASEAN con innovazioni dual-use (sicurezza civile e militare), elevando così l’influenza strategica. L’asse Tokyo–Washington rimane centrale, ma non senza tensioni. Il Giappone ospita circa 54.000 militari americani distribuiti su 23 basi, tra cui Yokosuka (settima flotta USA) e Misawa (ricognizione strategica). Annualmente Tokyo contribuisce con circa 201,7 miliardi di yen per il mantenimento delle strutture USA. Tuttavia, il nuovo corso di Trump potrebbe essere un banco di prova. La sua visita a Tokyo — prevista per fine ottobre — potrebbe trasformarsi in un braccio di ferro diplomatico: Washington insisterà su un maggiore contributo finanziario e su un ruolo più attivo del Giappone nella strategia globale. Takaichi dovrà gestire la tensione tra obblighi strategici e sensibilità nazionali. In aggiunta, l’amministrazione americana ha sollevato proposte ambiziose — in alcuni casi troppo aggressive — affinché gli alleati asiatici elevino la spesa difensiva fino al 5 % del PIL. Il Giappone ha reagito con cautela, rifiutando richieste rigide. Recentemente Tokyo ha persino annullato un incontro “2+2” (ministeri Esteri e Difesa) con Washington dopo che il Pentagono ha sollecitato un contributo più elevato. La Cina resta il “nemico strategico numero uno” secondo il rapporto annuale giapponese. Le attività militari nella costa sud-occidentale, le operazioni congiunte Russia-Cina e le incursioni nello spazio aereo giapponese sono percepite come minacce reali. La relazione economica, però, è cruciale: la Cina rappresenta oltre il 30 % delle importazioni giapponesi e domina la fornitura di materiali critici, come terre rare e semiconduttori.
Tokyo è consapevole della sua vulnerabilità: una guerra Taiwan–Cina potrebbe ridurre il PIL giapponese del 13,5 %. Per mitigare il rischio, Takaichi promuoverà la diversificazione delle catene di approvvigionamento, alleanze tecnologiche con nazioni come l’India e maggiori investimenti nei materiali domestici critici. Seul è ormai più incline a un’alleanza pragmatica con Pechino, e le relazioni con Tokyo sono cariche di ferite storiche irrisolte. Il triangolo Tokyo–Washington–Seul resta teso: ogni mossa giapponese verso un’accentuata assertività nei confronti della Cina rischia di alienare Seul. Tuttavia, nel 2023 è stato firmato il patto trilaterale con gli Stati Uniti, che impegna Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud alla cooperazione su sicurezza regionale, esercitazioni congiunte e scambio informativo. Takaichi dovrà navigare con cautela: rafforzare il capofila giapponese senza alienare la cooperazione sudcoreana — che è essenziale sia per la deterrenza nucleare che per il sistema missilistico comune.
Il Giappone di Takaichi probabilmente consoliderà il sostegno a Taiwan, senza dichiarazioni eccessivamente aggressive ma con una cooperazione militare più stretta con Washington e con sistemi di intelligence condivisa. Ogni fluttuazione nello Stretto di Taiwan sarà percepita con attenzione strategica, con Tokyo pronta a intervenire diplomaticamente e militarmente, nei limiti costituzionali. La presenza giapponese nei mari contigui al Taiwan sarà intensificata, con monitoraggi navali e pattugliamenti congiunti. La vera prova di forza per Takaichi sarà di legittimare la sua leadership oltre il puro consenso istituzionale. Le sue posizioni conservatrici su temi sociali — come il ruolo della donna, le politiche familiari, il revisionismo storico — sono oggetto di dibattito pubblico acceso. Per convincere un’opinione pubblica divisa, serve una narrazione strategica: non una nostalgica chiamata al passato, ma una visione inclusiva che sappia integrare tradizione e innovazione. Se fallirà nel coinvolgere i moderati e le fasce urbane, rischia di finire intrappolata nei confini di un consenso polarizzato — e di indebolire la sua capacità di riformare.
L’inflazione, la crescita stagnante e l’incertezza salariale stanno erodendo il tenore di vita. Alcuni studi segnalano aumenti in centinaia di beni alimentari (da 16 % in su) negli ultimi mesi. Le classi medio-basse chiedono risposte immediate: sussidi, riduzione delle tasse, stabilità dei prezzi. Se le politiche espansive non riescono a compensare il peso fiscale e l’aumento dei tassi di interesse, il malcontento può tradursi in voto di protesta. In una condizione di minoranza parlamentare, il potere esecutivo è fortemente dipendente dai segnali sociali. Il Giappone è tra i paesi con l’invecchiamento più rapido al mondo; la popolazione diminuisce, la quota di anziani cresce, il welfare è sotto tensione. Senza politiche demografiche radicali, la crescita potenziale resterà bassa. Takaichi potrebbe dover introdurre riforme sul lavoro, incentivare la partecipazione femminile, considerare forme limitate di migrazione qualificata e promuovere l’automazione. Tuttavia, tali misure possono entrare in conflitto con il conservatorismo sociale della sua base elettorale. In uno scenario ottimistico, Takaichi riesce a tessere alleanze parlamentari puntuali, a far passare riforme chiave, a stimolare la crescita e a rafforzare la posizione giapponese nel Pacifico.
Il Giappone assume un ruolo centrale nei sistemi multilaterali asiatici, incrementa l’autonomia tecnologica, e diviene un hub di difesa e innovazione. Il rischio principale resta la paralisi legislativa. Divergenze tra PLD e Kōmeitō, boicottaggi dell’opposizione, ricatti interni potrebbero vanificare ogni tentativo di governo efficace. In parallelo, una BoJ ostinata nella prudenza sui tassi può bloccare l’efficacia delle misure espansive. La credibilità internazionale ne risentirebbe: investitori incerti, spread in aumento, svalutazione dello yen accelerata. Un’escalation militare nella regione (Taiwan, mar Cinese Meridionale) potrebbe travolgere la strategia giapponese. In uno scontro USA–Cina, il Giappone rischia di essere coinvolto — logisticamente, diplomaticamente e strategicamente — pur non essendo belligerante. Il territorio nipponico potrebbe diventare teatro di dispute navali e missilistiche.
Se la Cina dovesse attaccare Taiwan, l’impatto economico su Tokyo sarebbe devastante: l’Economia giapponese potrebbe contrarsi di oltre il 13 %. In tale scenario, il Giappone dovrebbe giocare il ruolo di “alleato fulcro” tra Stati Uniti e paesi asiatici, con rischi non trascurabili sul piano sovrano. Se gli Stati Uniti spingeranno per una spesa militare al 3‑5 % del PIL e Tokyo risponderà con esitazioni, si apriranno frizioni diplomatiche.
La cancellazione del meeting “2+2” è un esempio di quanto il Giappone sia già in tensione con le pretese americane. Takaichi dovrà dimostrare equilibrio: mantenere l’alleanza forte, senza subire supinamente. Sanae Takaichi prende le redini del Giappone in una fase di profonda metamorfosi — interna ed esterna. Il governo è fragile, la legittimazione incerta, l’agenda complessa. Ma la posta in gioco è enorme: ridefinire il ruolo del Giappone nel XXI secolo. Non siamo in presenza di un semplice cambio di leadership, ma di un passaggio di paradigma: dall’era del “Japan made simple, pacifist, economic powerhouse” all’era del “Japan attivo, tecnologico, strategico”. Se il governo saprà governare con decisione, coerenza e visione — conciliando spinta conservatrice e innovazione — potrà forgiare una nuova architettura nazionale e una presenza regionale credibile. In caso di fallimento, il Giappone rischia l’impasse, l’isolamento strategico e una crisi di identità.
Nel 2025, il Giappone è sospeso su un crinale geopolitico. Con Takaichi, ogni scelta — economica, militare, diplomatica — avrà un peso determinante. La resilienza del governo non dipenderà solo dall’equilibrio di forze interne, ma dalla capacità di relazionarsi efficacemente con una regione instabile e con un mondo in cui il potere si ridefinisce giorno dopo giorno.