HIROSHIMA: L’ORIGINE OSCURA DEL POTERE NUCLEARE

di Cristina Di Silvio

Ottant’anni dopo Hiroshima, il silenzio è solo apparente.

Hiroshima, il nucleare, la paura di oggi

Il 6 agosto del 1945, alle 8:15 del mattino, il mondo cambiava per sempre.

L’ordigno sganciato su Hiroshima non fu soltanto un’arma: fu un messaggio. Una dimostrazione di forza assoluta, rivolta non solo al Giappone, ma a tutta la comunità internazionale – in primis all’allora Unione Sovietica.

Un punto di svolta nella storia dell’umanità e l’inizio di una nuova epoca: l’era della deterrenza nucleare. Da allora, l’equilibrio strategico globale si è fondato su un paradosso: mantenere la pace attraverso la minaccia della distruzione totale.

Hiroshima
epa03530737 A handout black-and-white photo provided by the Honkawa Elementary School on 11 January 2013 shows the Hiroshima atomic bomb mushroom cloud separating in two parts about half an hour after the bombing on 06 August 1945. According to the Hiroshima Peace Memorial Museum, it is the first time that a copy of the photo has been discovered. Taken from about 10 kilometers east from the hypocenter, the print was found among articles connected to the atomic bombing at the Honkawa Elementary School. EPA/HONKAWA ELEMENTARY SCHOOL/HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Eppure, questa pace apparente poggia su fondamenta sempre più instabili.

Oggi, il panorama è ben lontano dall’essere rassicurante. Più di 13.000 testate nucleari sono ancora operative. Le tecnologie si evolvono, i sistemi si automatizzano, le “mini-nukes” – armi nucleari tattiche a bassa potenza – vengono integrate negli scenari militari, rendendo l’opzione nucleare sempre più pensabile.

La deterrenza classica, basata sul non-uso assoluto, comincia a scricchiolare. Il rischio non è solo teorico. È tecnico, umano, algoritmico. L’intelligenza artificiale sta entrando nei sistemi di comando e controllo. E con essa aumenta il timore che decisioni irreversibili possano essere prese senza supervisione umana diretta.

In questo contesto, parlare ancora di “controllo degli armamenti” o “stabilità strategica” senza una riflessione concreta sul nodo nucleare è semplicemente miope.

Hiroshima

C’è anche un altro dato inquietante: mentre si predica il disarmo nei consessi internazionali, le potenze nucleari investono in programmi di modernizzazione. Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito aggiornano arsenali, rinnovano vettori, sviluppano nuove dottrine.

Gli arsenali “ufficiosi” – da Israele a Pakistan – restano fuori da ogni trattativa formale. L’Iran viene monitorato con attenzione, ma nessuno discute seriamente del disarmo di chi ha già armi pronte al lancio.

Ma Hiroshima? Hiroshima viene commemorata ogni anno, sì. Un rituale insomma, quasi svuotato di significato si potrebbe dire, almeno guardando gli effetti sulla politica contemporanea.

Si parla di pace, si ricordano le vittime, ma si evita la domanda più scomoda: perché le armi nucleari esistono ancora? La risposta è che Hiroshima non è stata mai davvero affrontata. Non abbiamo rifiutato quella logica: l’abbiamo assorbita. E oggi ci conviviamo, fingendo che l’equilibrio basti a garantirci sicurezza. In realtà, siamo su una linea sottilissima.

Un errore di calcolo, un attacco informatico, un falso allarme potrebbero scatenare conseguenze incalcolabili.

Il rischio è strutturale. Eppure, la discussione pubblica resta marginale, rimosso il tema da media e dibattiti politici, se non in termini ideologici.

Il richiamo è chiaro: non si tratta di idealismo, ma di realismo strategico.

Non possiamo continuare a costruire la sicurezza globale su una minaccia esistenziale.

È tempo di riportare Hiroshima al centro del discorso, non come simbolo del passato, ma come nodo irrisolto del presente. Chi gestisce oggi il potere nucleare dovrebbe camminare tra le rovine di Hiroshima. Non per pietà. Ma per ricordare cosa vuol dire davvero avere in tasca il potere di annientare l’umanità.