I panifici di Roma nelle mani della ‘ndrangheta

Sequestrate nella capitale 25 società per un valore di 100 milioni di euro. Il Gip, veri e propri ‘patti mafiosi’ “volti a garantire gli accordi imprenditoriali per infiltrare l’economia romana”

Di Edoardo Izzo

Venticinque società, per un valore totale di 100 milioni di euro, sono state sequestrate dalla Dia, dai carabinieri, dalla polizia e dai militari della Guardia di Finanza nell’operazione che ha portato all’arresto di 26 persone (24 in carcere e 2 ai domiciliari) accusate di associazione mafiosa, sequestro di persona e intestazione fittizia di beni.

Gli arresti di questa mattina seguono quelli avvenuti nel maggio scorso nell’inchiesta “Propaggine” – coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò – che aveva colpito la prima locale di ‘Ndrangheta della Capitale portando all’esecuzione di 43 misure cautelari a carico di altrettanti indagati.

Un’organizzazione che vedeva al vertice la famiglia degli Alvaro e in particolare Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo originari di Cosoleto.

Lo scopo degli indagati, è emerso dagli accertamenti, era quello di acquisire la gestione e il controllo delle attività nei più svariati settori: ittico, della pianificazione e della pasticceria.

L’organizzazione faceva poi sistematicamente ricorso ad intestazioni fittizie al fine di schermare la reale titolarità delle attività, e di commettere delitti contro il patrimonio, contro la vita e l’incolumita’ individuale e in materia di armi.

L’obiettivo era inoltre di affermare il controllo egemonico delle attività economiche sul territorio, realizzato anche attraverso accordi con organizzazioni criminose omologhe; e, comunque, infine, di procurarsi ingiuste utilità.

L’attività di indagine ha consentito di ricostruire l’applicazione sistematica di uno schema collaudato, di un modello finanziario “ciclico”: abbandono della società ritenuta compromessa, utilizzo di una società nuova, acquisizione della ditta e dei contratti di locazione con la distrazione di beni, insegne e avviamento dell’azienda appartenente alla società da abbandonare, individuazione dei nuovi intestatari fittizi attraverso i quali continuare a possedere le attività commerciali e mantenere il controllo.

È stato ricostruito, inoltre, come i vertici e i componenti della locale di Roma, una volta acquisiti gli esercizi commerciali, di frequente entravano in possesso anche degli immobili, versando, all’atto dell’acquisto, un anticipo spesso insignificante diluendolo, poi, in centinaia di rate, garantite da cambiali che, secondo le intercettazioni, erano in realtà pagate in contanti.

Gip, patti mafiosi per infiltrare economia Roma

Veri e propri ‘patti mafiosi’, “volti a garantire gli accordi imprenditoriali per infiltrare l’economia romana”. Lo scrive il gip di Roma Gaspare Sturzo nell’ordinanza cautelare nel quale descrive il modo in cui la ‘ndrangheta locale ha infiltrato il territorio romano. Per tutti e 26 i destinatari della misura cautelare, “sussistono i gravi indizi cautelari, dal punto di vista soggettivo ed oggettivo come indicati dall’accusa”, scrive il giudice.

È evidente come “sussista anche l’aggravante dell’agevolazione mafiosa contestata – aggiunge il gip Sturzo – quanto al voler favorire l’associarsi di soggetti pluripregiudicati o già collegati con esponenti mafiosi calabresi della ‘ndrangheta con Vincenzo Alvaro, capo del locale di ‘ndrangheta capitolino anche nella costola alvariana, senza mai far figurare la presenza formale dello stesso, o quella degli stessi soci consapevoli della necessità di impiegare prestanome”. “L’analisi sopra compiuta consente di dire come gli intestatari formali – prosegue il giudice – per ragioni di parentela o di provata vicinanza storica, fossero anche a conoscenza delle persone di cui erano prestanome e teste di legno nella gestione societaria e delle ragioni per cui erano stati utilizzate come mezzi di occultamento necessari”.